Cronaca della conviviale n. 22 del 29 gennaio 2007

 

Tema: “Milano: Le Donne”

Relatore: Professoressa Marta Morazzoni

 

Serena, compiuta, senza, grazie a Dio, alcuna voglia di inviarci contorti “messaggi” esistenziali o politici, capace di usare tutta se stessa solo per capire l’altro.

La scrittrice milanese Marta Morazzoni (in concerto, stavamo per dire: sono musica le sue parole) la sera del 29 gennaio è ospite di Rotary Giardini (o siamo noi gli ospiti, vista la sua padronanza del luogo e della situazione?) per il filone di riflessioni “Donne di Milano”.  

Un filo a piombo che scende diretto e veloce sul fondo di uomini e cose. Madre (meglio: sorella) di personaggi che nascono in simbiosi con i luoghi che li producono. Un linguaggio che “scorre simile a un ruscello”, come commenta il nostro Gambel, il quale - quasi il marinaio di Colombo che esclamò “Terra!” - lancia un grido di gioia:”Finalmente un congiuntivo!” (E noi pensiamo, parafrasando: Triste quel Paese che deve rimpiangere i congiuntivi”). Marta Morazzoni, l’autrice di La ragazza con il turbante, del Caso Courrier e di una decina di altre opere tra romanzi e saggi, collezionista di premi, dall’italo Campiello all’ambito londinese premio Indipendent per il migliore romanzo straniero, si racconta. Vive. E come vive? Vive tra i boschi delle Prealpi e le sere artistiche di Milano, la città del suo Porta, del suo Parini, del suo Manzoni e del suo Gadda, la Milano che nulla è riuscito a strappare dal suo cuore, anche se la sua lenza è lanciata lontano, a Toronto, nell’Olanda del suo Vermeer, nella Parigi del suo Proust. La mattina insegna a giovani sui quali quasi certamente inciderà segni profondi, il pomeriggio lascia sul file del computer, uno strumento quanto altri mai silenzioso e “illuminato”,  le note delle sue “diciotto righe giornaliere”, quante quelle di Cechov, un distillato di osservazioni, colpi d’occhio, parole ascoltate e inseguite fino al profondo dell’anima - in tutta verità o in immaginazione - dell’umanità che le ha pronunciate. Perchè ciò che giunge sul computer non  appartiene ad esso, non ha culla nella tastiera, perché “l’elaborazione del pensiero che si fa parola è già avvenuta, è nata fuori del tempo fisico della scrittura”.  

A sentir lei, Marta deve tutto a chi le ha tenuto la mano nel cammino che l’ha portata alla sua realizzazione piena. Il suo è un discorso di riconoscenze: per Piero Citati, il Maestro dell’università milanese (“virtuale”: le scalmane del 1969 ne impedivano persino la frequenza e favorivano gli studi solitari della ragazza ancora senza turbante); e Franco Parenti, Maestro delle scene alle quali accedeva la stessa ragazza, ora apprendista critico teatrale; e Giovanni Testori, e Mario Spagnol e l’aspro (in privato) e delicato Strehler de “La Tempesta”.  

La ragazza è ora diventata un’austera professoressa che, appena lasciato il registro, va. o a passeggiare e pensare, accompagnata dal fedele cane, nella brughiera di una terra dai sette laghi, dalle fornaci, dalle palafitte preistoriche; o a raggiungere l’amato Nord, fino alle estreme terre dei ghiacci, dove apprende, non solo “visi, anime” ma anche “modi”, di essere, di scrivere. La “sostenibile” leggerezza dell’Arte, che ha fatto dire a Piero Citati, di Marta, “una vera narratrice, come pochi”. Made in Milano, Italia.

 

Nicola D’Amico