Cronaca della conviviale n. 11 del 23 ottobre 2006

 

Tema: “Milano la storia: l’alto Medioevo”

Relatore: Prof. Ermanno Arslan

 

Proseguono a Milano Giardini le conviviali culturali non estemporanee, fortemente volute dal regista-Presidente, Architetto Paolo Favole, contraddistinte da una precisa programmazione mirata alla rievocazione storica e urbanistica di Milano.  

Una lunga, millenaria vicenda nella quale l’archeologia supporta e spesso suggerisce la storia e la storia conosciuta chiede e scopre la sua verifica nelle tracce della vita concreta. La storia dei fatti non è effimera, lascia tracce indelebili. La geografia, i costumi, i sentimenti comuni determinano e spesso deviano la storia, ne provocano le catastrofi e i salvataggi. 

Un romanzo d’amore, con una amante appassionata e appassionante, Milano, quello raccontato  lunedì 23 ottobre da Ermanno E. Arslan, che non chiameremo “Professore”, perché ridurremmo la prospettiva con la quale Egli si è collocato davanti all’oggetto del suo intervento, la Milano dell’Alto Medioevo.  

Un discorso senza una sbavatura, senza una esitazione, senza una ripetizione enfatica o una divagazione compiacente, interrotto solo da storie eroiche e dolorose di Uomini e di Donne innervate nella storia della Città, da episodi e comportamenti significanti nei quali hanno intinto la penna i nostri più grandi scrittori, da Berchet a Manzoni al Carducci. Evocati da Arslan, - una vita per Milano e la sua arte multiforme, della quale ci ha solo in parte raccontato il precedente nostro Bollettino – evocati alla nostra memoria di ex liceali di ogni età, da quelli degli anni dei valori eroici a quelli, più vicini per i quali alla lettura ricca di Pathos, nei licei, si è sostituito il neoilluministico culto della Critica.  

Ma Teodorico è sempre Teodorico, Amalasunta è sempre Amalasunta, la donna più tradita del mondo, e sono sempre sparse sull’affannoso petto le trecce morbide di Ermengarda, innocente pegno di pace tra Franchi e Longobardi. Anche se lunedì sera, lei, Ermengarda,  l’abbiamo appena sfiorata, avendo incontrato Carlo Magno solo per un secondo, mentre noi uscivamo e lui ci faceva solo un cenno per dirci: - Ci vediamo in uno dei prossimi lunedì.

Lo aspettiamo. 

Una serata, è stata quella di lunedì, di un silenziosissimo e accorto intrattenersi con la Storia, alla luce di poche, esangui, diapositive (le chiameremo slides un’altra volta, non oggi: i nostri avi se ne avrebbero a male; o vogliamo chiamarle imagines festinantes ?). Un pacato resuscitare una Milano distesa e indifesa in una landa che galleggia su una falda generosa e nello stesso tempo infida, costretta a chiudersi dentro mura, lei regina delle aperture a tutte le strade, a tutti i commerci, a tutti gli incontri; sede di Imperatori e Vescovi, come Ambrogio, che più degli Imperatori contano e imperano con la forza morale.  

Eretta a Municipium da Cesare, considerata da Adriano sede degna di una delle quattordici Scuole Palatine, che resteranno aperte per secoli ( e pensare che si è detto che Milano non ha avuto università fino agli Anni Venti del XX secolo!), Milano è la culla dell’Editto di Costantino – ci ricorda Arslan – che legittima i cristiani;  è capitale, nel III secolo d.C., dell’Impero d’Occidente, poi giocata da Ravenna e dalla Pavia capitale del Regnum; centro della Chiesa di Occidente con Ambrogio; fino alle invasioni germaniche che conferirono il nome di Longobardia al suo territorio in senso lato, ma ne accelerarono quella decadenza dalla quale sarebbe risorta con i Franchi. 

Ricompaiono intanto i fantasmi del Circo romano, del Coliseum-fortezza, delle penetrazioni agricole (memento La Vigna, via della, per dirne una), nei momenti neri della disgregazione urbana e del calo demografico e la Gran Via cinta di una lunga processione di alberi che si concludeva con un arco quadrangolare, strumento più di guerra che di bellezza e come tale non amato dai milanesi,  e le Torri ottagonali,  delle quali ancora qualche pietra un occhio attento e puntiglioso può riscoprire a San Lorenzo, il Pantheon mancato degli Imperatori, o al Carrobbio. 

Ed è subito sera. Anzi notte. E, le pregnanti domande di Edoardo Gambel (“battezzato a Sant’Ambrogio”, quello là, fuori le mura) porgono il saluto più grato, al quale si aggiunge quello del sottoscritto  (“battezzato a Santa Rosalia”) e di tutti noi del Giardini, a Ermanno A. Arslan. Grazie, Professore. Milano se lo merita, uno come Lei. 

 

Nicola D’Amico