Cronaca della conviviale n. 32 del 16 aprile 2007

 

Tema: Milano, comunità straniere: Perù ed Ecuador

Relatore: Professor Daniele Cologna

 

 

Uno sguardo sull’immigrazione latino-americana a Milano. Fuori da stucchevoli pregiudizi e controproducenti buonismi. In chiave di un sociologismo senza sociologese, intelligente, umano aperto e, in qualche misura, sofferto. Ma soprattutto operante. E’ il giudizio che ci sentiamo di esprimere sull’intervento al Giardini – in occasione della XXXII Conviviale della presidenza Favole – del giovane professor Daniele Cologna, poliglotta, ricercatore sul campo, riconosciuto tra i più documentati esperti sui  problemi dell’integrazione, in Italia e all’estero.

La sua relazione, scarna di cifre ma ricca di problematiche umane, economiche e politiche, era stata preceduta dall’intervento - una sorpresa che ha onorato il Giardini -  di S.E. Carlos Roca Càceres, Ambasciatore del Perù in Italia, nel nostro Paese solo da meno di cinque mesi, figlio di rotariano (suo padre, 92 anni, vive oggi con Lui a Roma). L’Ambasciatore si è laureato a Torino, parla perfettamente l’italiano e vive l’Italia come una seconda patria. Ha ricordato che un milanese, Antonio Raimondi, contribuì, alla fine del XIX secolo, a fare più grande il Perù, così come peruviano di adozione fu Giuseppe Garibaldi. Il diplomatico ha espresso infine la convinzione-speranza che Milano possa essere la guida per una comprensione-soluzione dei problemi legati alla immigrazione latino-americana in Italia. Lo ascoltavano, graditi ospiti, anche il Console generale del Perù A Milano, Signor Felix Denegri Boza e il Console Generale dell’Ecuador a Milano, Signor Denis Toscano Amores. Inutile sottolineare le radici italiche di una delle componenti dei cognomi dei due diplomatici.

Immigrazione latino-americana, dunque, nella relazione Cologna. L’emigrazione più folta, a Milano. Le unità ecuadoriane e peruviane a Milano si contano sulle molte decine di migliaia. Tutto cominciò nei primi anni Novanta con un lento arrivo di donne, soprattutto, destinate ai lavori domestici e di assistenza generica. Donne che venivano non tanto da Lima quanto dall’entroterra della Sierra, donne che la Chiesa locale si preoccupava di sistemare in Europa per sottrarle alla miseria. Non facevano massa, non facevano “fenomeno”. Ma ecco, all’alba del XXI secolo una serie di crisi abbattesi sull’Ecuador: crollo dei mercati asiatici, con i quali l’economia ecuadoregna era storicamente interagente; fenomeni climatici disastrosi come quello del niño che mette in ginocchio l’agricoltura bananiera di base ed industriale; conseguenti instabilità politiche. Come un’onda perversa le crisi combinate salgono fino a colpire categorie di commercianti, imprenditori e quindi lavoratori, impiegati, persino categorie intellettuali. Un lungo esodo verso gli Stati Uniti ha inizio. Ed è l’11 settembre 2001. Le Torri Gemelle si abbattono anche sull’immigrazione. In un mare di sospetti,  gli USA stringono i freni. Approfittando di una larga falla nella rete di protezione europea (non richiesto il visto di ingresso), l’emigrazione latinoamericana si sposta sull’Europa. Ora non arrivano solo donne a far le cameriere. Arrivano ex impiegate, ex impiegati, ex piccoli produttori. Arrivano le coppie. Le mogli,  più fortunate: se non un impiego unico, almeno un impiego stabile anche se a macchia di leopardo. I mariti reclutati spesso in nero da datori di lavoro spesso nemmeno italiani. Arrivano i figli. Spesso rancorosi verso gli stessi genitori. Una cosa è vivere, infatti, in una relativa agiatezza al proprio paese, con le  rimesse  - di cui non si conosce quanto la fonte sia fatta di sudore, umiliazioni, rinunce, sacrifici -  altra cosa è essere strappati agli amici,  sradicati e portati in un paese straniero a scoprire che quelle rimesse venivano da genitori che svolgono lavori paraservili, che bisogna stringere i consumi, che bisogna frequentare scuole in cui scarse sono le risorse per una vera integrazione nella lingua e nella cultura locali.  La maggioranza di questi giovani accetta, però, la sfida e anche la mano che persone come Cologna e consoli di buona volontà tendono loro in  varie forme. Scelgono il riscatto sociale. E il loro scopo è vincere, diventare qualcuno. Le imprese di immigrati crescono, infatti, a ritmo intenso. Altri, però, scelgono il gruppo di eguali, dove non si giudica e non si è giudicati: il gruppo di coetanei diventa la loro “prima” famiglia. Troppo facile, parlare di “bande”. L’immigrazione latino-americana a Milano è una grande risorsa, soprattutto perché non è immigrazione mordi-e-fuggi, ma una immigrazione che vuole restare, stabile. Che non ha in tasca il biglietto di ritorno. Una immigrazione che  contiene, però, anche grandi bisogni. Cologna lancia un appello: serve aiuto da tutti. Facciamoci un pensierino.