Cronaca della conviviale n. 27 del 5 marzo 2007

 

Tema: “Milano, la storia: Il periodo napoleonico”

Relatore: Prof.ssa Arch. Giovanna Damia

 

Non è facile dire quante città abbiano avuto, come Milano, un ruolo così importante non solo nelle strategie di “grandeur” di Napoleone, ma anche nella sua immaginazione e progettazione di un società futura, lontana dal rumore delle armi, fatta di convivenza quotidiana; di “case” di ognuno e di tutti; di luoghi privati e pubblici; di “stanze” e piazze, di strade “consolari” e di “porte” fatte non per collegare “luoghi”, ma Capitali; di “Archi” destinati a far passare sotto le proprie colonne non solo uomini e merci, ma la Storia.  

Certamente, se Napoleone impose a Milano le proprie armi e i suoi pesanti balzelli, Milano impose a Napoleone un rispetto sublime. Milano era stata già una volta capitale di Impero e Napoleone sembrava ricordarsene ora che ne faceva capitale di Repubbliche e Regni. 

La conviviale del 5 marzo ospita una giovane professoressa universitaria, Giovanna Damia, architetto e storica dell’Architettura e non solo, storica nel senso più ampio della parola, definizione che meglio non potrebbe attribuirsi a chi, come Lei, a Parigi va per perfezionarsi in museologia e fruga tra le carte degli archivi e scopre documenti di prima mano, progetti architettonici dell’era napoleonica, destinati a far riscrivere almeno qualche pagina della storia progettuale della Milano dell’epoca: una storia tanto più interessante quanto rimasta in gran parte nella visione onirica di un futuro che Napoleone immaginò in termini di secoli, ma che si consumò in poco più di quindici anni.  

Il passaggio di Napoleone a Milano, ci dice infatti Giovanna Damia, in una esposizione chiara e suasiva, fu contrassegnata dalla formulazione di grandi progetti che, anche per la loro stessa natura, non erano destinati a essere contemporanei alla loro realizzazione, ma “condizionarono la trasformazione della città per almeno mezzo secolo a venire”. 

La storia della progettualità architettonica dell’era napoleonica non è storia francese: è storia del genio architettonico italiano, del genio dei Cagnola e dei Canonica, per citare solo i più grandi e i più presenti. 

Le “Porte” hanno un grande ruolo simbolico, per Napoleone. Il primo ingresso del giovane e fatal generale avviene da Porta Romana, come si addice a un Uomo che ha nel proprio tessuto genetico il destino dei Cesari. E l’architettura dei Cesari suggerirà al Bonaparte e ai suoi architetti le piazze, i fori, le strade della Nuova Milano, che coinvolgeranno finalmente i privati nel rispetto di quello che fu una sorta di primo Piano regolatore della città.  

Il ritorno di Napoleone, dopo Marengo, sarà il momento in cui questa battaglia, dal suo genio trasformata da catastrofe in Resurrezione di un destino, occuperà quasi come un’ossessione di rivalsa, la mente e i progetti di Bonaparte e dei suoi artisti: sono ben 52 i progetti per celebrarne le glorie: colonne sinusoidali (Pistocchi), monumenti cilindrici (Antolini) le migliori proposte, mai realizzate. Il tempo vola, Napoleone non è di bocca buona, vuole il meglio. Piuttosto, perché non dare uno schiaffo oltraggioso a quell’Austria che allo spirare del secolo XVIII ha osato ricacciare il Genio della guerra fuori dalle Alpi? Abbattiamo il Castello, simbolo dell’arroganza delle armi asburgiche. Impresa cominciata e non portata a termine, ma che aprirà gli anni del ripensamento di una enorme area metropolitana, di un grande Foro da intitolare al Bonaparte, un’area finalmente liberata e destinata a fare uscire Milano dalla dimensione Duomo, per proiettarla verso un futuro edilizio e viario che merita. Con tutto il rispetto per la grande Cattedrale gotica, che aspetta ancora, però, quella facciata che Napoleone ordina a  vari architetti, tra i quali l’Amati, di completare, con un progetto “provvisorio”, che resterà definitivo, come tutte le cose provvisorie di questo paese.  

Una riflessione qui si impone, suggerisce la storica Damia: il Napoleone padrino del neoclassicismo architettonico, che “archi e colonne vede” dovunque, e fregi e corone, davanti al Duomo si arresta. Si arresta davanti al suo gotico e ordina che non venga contaminato.  

Ed è la volta dei palazzi, dal Palazzo del Senato al Palazzo reale al Palazzo Belgioioso, alla Reggia di Monza, dove risplenderà la Corte dei Napoleonidi, del Beauharnais e della principessa e viceregina sua moglie, una parentesi che vede Milano assurgere ad uno dei salotti più eleganti e mondani d’Europa.

La concezione della casa e della città di Napoleone, non è lontana dalla vocazione d Milano: una città “comoda” e “di servizi”, in cui avranno gioco grandi spazi d’affari, come quello che si ipotizza alla sinistra della Scala; come il grande foro commerciale e di divertimenti (anche educativi: zoo, orto botanico) inscritto dentro e fuori l’area di Porta Venezia: spazi, come previsto per il Foro Bonaparte, fatti di edifici pubblici, bagni, terme, dogane. Persino con un Pantheon degl’Italiani, a immagine e somiglianza di quello dei Francese, a Parigi, da realizzarsi sfruttando il singolare anello della Rotonda del Besana, detta “la Besana”. 

Tra tutti gli Archi dovrà splendere il Trionfo della Guerra, delle Vittorie, ma la Storia non perdona e, verità o ipocrisia, il grande Arco del Sempione, fatto per celebrare nei secoli la gloria di Napoleone, diventerà l’Arco della Pace. 

Fu vera gloria? Una cosa è certa: Milano non ci rimise. Napoleone vi lasciò una scia di buongusto e di creatività che forse non morrà. Grazie, Napoleone. Grazie, Giovanna Damia. 

Nicola D’Amico