Cronaca della conviviale n. 25 del 30 marzo 2009

 

Tema: Uguali e diversi: la gestione delle pluralità nei luoghi di lavor fuochi”

Relatore: Prof.ssa Cristina Bombelli

 

Ognuno di noi ha una personale cultura interpretativa del concetto di “diversità”. Chi vive la parola sotto la schiavitù del pregiudizio; chi con il fastidio di chi vorrebbe la vita e la società come perfette figure geometriche, in cui non sono ammesse varianti che turbino simmetrie rassicuranti; chi come campo di realizzazione della proprio anima bella; chi come un serio agone di impegno sociale.

La stessa parola è piena di diversità. C’è un approccio alla diversità  xenofobo, uno razziale, uno di genere, uno generazionale, uno religioso, uno culturale, uno attitudinale.

Ma – si chiede e ci chiede (Giardini, Hotel Cavalieri, 30 marzo)  Maria Cristina Bombelli, filosofa di formazione e sociologa per vocazione – siamo sicuri che “diversità” sia una parola – senza viete ironie – “politicamente corretta”?

Diversità implica di per sé, etimologicamente e storicamente, divergenza, divaricazione, allontanamento. Ma poiché la diversità si fonda sulla considerazione di una pluralità di soggetti, non sarà per caso più corretto, addirittura  più espressivo e soddisfacente, sostituire a “diversità”, nella anamnesi come nella diagnosi e nelle cure, la parola “pluralità”, la parola della confluenza dei numeri ad unum?

Non è questione solo filologica. Nella fattispecie il mezzo, cioè la parola che si sceglie, è il  messaggio, cioè il tipo di approccio al problema. Anzi, mentre la “diversità” sembra indicare un “disturbo” alla realtà data, la pluralità è essa stessa la realtà,  che va solo modellata.

Si tratta di un terreno delicato, che in mani demagogiche può portare approcci legislativi pericolosi, come è stato sottolineato, ma in mani accorte può portare ad una corretta valutazione del potenziale umano; può evidenziare – per fare un esempio - in un disabile non le disabilità, ma le “diverse abilità (un caso di uso virtuoso della parola), che trasformano un vincolo di legge in una risorsa.

Cui prodest la scienza della pluralità? viene chiesto alla dottoressa Bombelli. Certamente all’azienda, per il motivo prima accennato: un approccio corretto, di per sé è etico (ed è già una risposta)  libera risorse, accresce la efficienza del processo, evita discriminazioni, gelosie e rancori e assicura quel sicuro plusvalore che è la pax aziendale (seconda risposta), la quale, a sua volta, contribuisce alla pace sociale, facendosi politica.

Quello che bisogna evitare è la cristallizzazione delle categorie diverse, un errore che si riscontra spesso nelle realtà aziendale americana, dove si è giunti - credendo di aver scoperto l’uovo di Colombo -  a creare dei Councils, dei parlamentini aziendali, nei quali si chiamano a sedere insieme i rappresentanti delle varie diversità. Un uovo di Colombo sospetto, in quanto indiziato, anche se inconsapevolmente, di  “fissare” in una “diversità” specifica (uomo colto, uomo scolarizzato,  donna, cieco, straniero e così via) chi avrebbe ben altre risorse – meno manichee - per essere “catalogato”.

L’approccio europeo (paradigmatico quello di Ikea) sembra, ove applicato, migliore, perché parte da un approccio euristico, quello della ricerca delle migliori potenzialità individuali come base per lo studio specifico della loro valorizzazione.

Scientifico l’approccio, pacata la comunicazione di Maria Cristina Bombelli, persona che si risentirebbe volentieri.

 

Nicola D' Amico