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"Nessun dorma!” (Giacomo Puccini, Turandot,
atto III). “Nessun venda!” (Adalberto
Alberici, Giardini, 23 marzo 2209).
Questo, se non vogliamo che la crisi finanziaria di
questi mesi risorga dalle proprie ceneri come la Fenice, si riproduca, come
l’Idra di Lerna, ad ogni fendente di Ercole (Tremonti? Suvvia…).
“Ma
cos’è questa crisi?” Alla grande crisi del 1929, è dedicata una
delle più note canzoni del Futurismo italiano. La scrisse, e portò sui
palcoscenici nel 1930, il
cantautore, giornalista, scrittore, pittore e amico e sodale di
Marinetti, Rodolfo De Angelis. A 60 anni di distanza, ci risiamo.
Con un colpo da decisionista doc, il nostro Presidente
alla strategia della contingentazione improvvisa della iperserata jazz
ha risposto, in un pugno di minuti, con una tattica alla Capponi (“Voi
suonerete il vostro jazz, noi suoneremo la nostra controserata al
Giardini”). Grande.
Ed eccoci qui (i reietti dell’ultima ora e i renitenti
(ab origine) alle lusinghe della gaia Via Sammartini, insieme e
fortunati) alla conferenza di Adalberto. Anzi, alla sua conversazione
tra amici. Perché Adalberto manifesta la sua dottrina con una passione
che altri potrebbero avere per la pittura del Rinascimento o per le
suonate di Schubert, alle quali Egli tuttavia è tutt’altro che
indifferente.
L’Italia – dice Adalberto -
è il paradiso dei paradossi. Ha il sistema bancario più
incasinato del mondo sul piano giuridico (accorpa, fonde, cresce e nello
stesso tempio licenzia; fa risparmi – per gli azionisti – e aumenta le
spese – per i risparmiatori; lesina il millesimo sugli interessi e
stressa il tasso dei crediti…e così via). Facendo tutto questo e di più,
la logica vorrebbe che esso collassasse al primo soffio di crisi. Ma
ecco che nella baraonda generale maddoffiana è uno di quelli che se la
cavano meglio. Né saranno solo i Tremonti bond a toglierlo d’impiccio:
in gran parte ce la sta facendo da solo, forte dell’essere, alla fine,
un sistema “provinciale”,
che parla solo il milanese, magari il fiorentino
e il romanesco. Meno l’inglese: la sua fortuna.
Tuttavia, la crisi c’è. Che ci sia, tutti lo sanno,
come sia nata conduce a varie scuole di pensiero. I titoli tossici
c’entrano, ma c’entra anche la maledizione del Faraone (che avete
capito? Solo coincidenza), quella maledizione che si incarna nella legge
dell’altalena dei “cicli” (che, come tutti gli altri, …bisogna aspettare
che passino).
Naturalmente Adalberto si è espresso più correttamente (è il cronista
che si prende qualche licenza). Ma il senso era questo.
Le nostre banche. Tutto cominciò da quando, con il
favore del Testo Unico del 1993, le banche, da “scagno” in cui si
posavano e prelevavano monete, come si vede nelle stampe fiorentine del
Cinquecento, si sono fatte “manager universali”, la “B-lunga”, il
supermercato di “prodotti” (a nessuno di noi era mai venuto in mente che
una cambiale o un mutuo fossero un “prodotto” come il prosciutto e il
lucido da scarpe).
Adalberto manifesta riprovazione
per il fatto che alle banche si sia dato il permesso di “fare tutto ciò
che non è vietato”. Perché da lì è arrivata la stagione-moda del ROE (Return
On common Equity), quell’
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che evidenzia la capacità del management nel creare valore per gli
azionisti - in pratica la
percentuale di rendimento del capitale investito - ma che si è
trasformato in una vera e propria ossessione del profitto.
Mettete insieme febbre del Roe e spericolate fusioni
(per resistere alla globalizzazione: e poi si scopre che i vostri soldi
più sicuri sono quelli in deposito alla Cassa Popolare di Vallelunga di
Sotto) e la perdita di fiducia del risparmiatore cresce, anche perché
quelle banche comperate dal pesce grosso scompaiono dopo avere perduto
quel patrimonio di identità che faceva la fidelizzazione del cliente
comune.
Ed ecco allora che la piccola crisi confluisce nella
grande. Ed è fatta. Una questione di cifre? No, per Adalberto è una
questione di cultura. Che non c’è.
Quell’umanesimo dello scambio che è la carta di identità di
Adalberto docente ed economista. Il suo approccio all’economia, infatti,
prima che scienza bancaria si rivela umanesimo puro. Che sa di
tradizione, di storia, di solidarietà, di buoni costumi. Oltre che di
equazioni brute del tipo ROE= reddito netto / mezzi propri X 100. Un
umanesimo che tradisce rimpianti, rammarico, persino emozioni. Perché
Cuccia è morto, ma non si può gridare, come alla Corte di Francia,
“E’morto il Re, viva il Roe!”.
La crisi? L’Italia ce la farà. Siamo un popolo di
poeti e di navigatori, ma anche di risparmiatori e di piccole, grandi
imprese. Quelli che non comprano titoli tossici. Che Dio li
stramaledica.
Nicola D'Amico |