Cronaca della conviviale parallela 24 bis del 23 marzo 2009

 

 

"Nessun dorma!” (Giacomo Puccini, Turandot, atto III). “Nessun venda!” (Adalberto Alberici, Giardini, 23 marzo 2209).

Questo, se non vogliamo che la crisi finanziaria di questi mesi risorga dalle proprie ceneri come la Fenice, si riproduca, come l’Idra di Lerna, ad ogni fendente di Ercole (Tremonti? Suvvia…).

 “Ma cos’è questa crisi?” Alla grande crisi del 1929, è dedicata una delle più note canzoni del Futurismo italiano. La scrisse, e portò sui palcoscenici nel 1930, il  cantautore, giornalista, scrittore, pittore e amico e sodale di Marinetti, Rodolfo De Angelis. A 60 anni di distanza, ci risiamo.

Con un colpo da decisionista doc, il nostro Presidente alla strategia della contingentazione improvvisa della iperserata jazz ha risposto, in un pugno di minuti, con una tattica alla Capponi (“Voi suonerete il vostro jazz, noi suoneremo la nostra controserata al Giardini”). Grande.

Ed eccoci qui (i reietti dell’ultima ora e i renitenti (ab origine) alle lusinghe della gaia Via Sammartini, insieme e fortunati) alla conferenza di Adalberto. Anzi, alla sua conversazione tra amici. Perché Adalberto manifesta la sua dottrina con una passione che altri potrebbero avere per la pittura del Rinascimento o per le suonate di Schubert, alle quali Egli tuttavia è tutt’altro che indifferente.

L’Italia – dice Adalberto -  è il paradiso dei paradossi. Ha il sistema bancario più incasinato del mondo sul piano giuridico (accorpa, fonde, cresce e nello stesso tempio licenzia; fa risparmi – per gli azionisti – e aumenta le spese – per i risparmiatori; lesina il millesimo sugli interessi e stressa il tasso dei crediti…e così via). Facendo tutto questo e di più, la logica vorrebbe che esso collassasse al primo soffio di crisi. Ma ecco che nella baraonda generale maddoffiana è uno di quelli che se la cavano meglio. Né saranno solo i Tremonti bond a toglierlo d’impiccio: in gran parte ce la sta facendo da solo, forte dell’essere, alla fine, un sistema  “provinciale”, che parla solo il milanese, magari il fiorentino  e il romanesco. Meno l’inglese: la sua fortuna.

Tuttavia, la crisi c’è. Che ci sia, tutti lo sanno, come sia nata conduce a varie scuole di pensiero. I titoli tossici c’entrano, ma c’entra anche la maledizione del Faraone (che avete capito? Solo coincidenza), quella maledizione che si incarna nella legge dell’altalena dei “cicli” (che, come tutti gli altri, …bisogna aspettare che passino).

Naturalmente Adalberto si è espresso più correttamente (è il cronista che si prende qualche licenza). Ma il senso era questo.

Le nostre banche. Tutto cominciò da quando, con il favore del Testo Unico del 1993, le banche, da “scagno” in cui si posavano e prelevavano monete, come si vede nelle stampe fiorentine del Cinquecento, si sono fatte “manager universali”, la “B-lunga”, il supermercato di “prodotti” (a nessuno di noi era mai venuto in mente che una cambiale o un mutuo fossero un “prodotto” come il prosciutto e il lucido da scarpe).

Adalberto manifesta riprovazione per il fatto che alle banche si sia dato il permesso di “fare tutto ciò che non è vietato”. Perché da lì è arrivata la stagione-moda del ROE (Return On common Equity), quell’ skip to main skip to sidebarindicatore che evidenzia la capacità del management nel creare valore per gli azionisti -  in pratica la percentuale di rendimento del capitale investito - ma che si è trasformato in una vera e propria ossessione del profitto.

Mettete insieme febbre del Roe e spericolate fusioni (per resistere alla globalizzazione: e poi si scopre che i vostri soldi più sicuri sono quelli in deposito alla Cassa Popolare di Vallelunga di Sotto) e la perdita di fiducia del risparmiatore cresce, anche perché quelle banche comperate dal pesce grosso scompaiono dopo avere perduto quel patrimonio di identità che faceva la fidelizzazione del cliente comune.

Ed ecco allora che la piccola crisi confluisce nella grande. Ed è fatta. Una questione di cifre? No, per Adalberto è una questione di cultura. Che non c’è.  Quell’umanesimo dello scambio che è la carta di identità di Adalberto docente ed economista. Il suo approccio all’economia, infatti, prima che scienza bancaria si rivela umanesimo puro. Che sa di tradizione, di storia, di solidarietà, di buoni costumi. Oltre che di equazioni brute del tipo ROE= reddito netto / mezzi propri X 100. Un umanesimo che tradisce rimpianti, rammarico, persino emozioni. Perché Cuccia è morto, ma non si può gridare, come alla Corte di Francia, “E’morto il Re, viva il Roe!”. 

La crisi? L’Italia ce la farà. Siamo un popolo di poeti e di navigatori, ma anche di risparmiatori e di piccole, grandi imprese. Quelli che non comprano titoli tossici. Che Dio li stramaledica.

Nicola D'Amico