Cronaca della conviviale n. 22 del 9 marzo 2009

 

Tema: Storie semisegrete della Scuola italiana"

Relatore: Dott. Nicola D'Amico

 

Dopo la presentazione della simpatica stagista di New Orleans Paola Durango, accompagnata dal prof. Edoardo Rovida, Presidente del Programma “Borse di Studio”, è di scena Nicola D’Amico con le sue “storie semisegrete della scuola italiana”.   

Diciamo “è di scena” perché quello di Nicola è stato un recital appassionato ( e appassionante per noi che lo abbiamo ascoltato veramente col fiato sospeso), quaranta minuti di recitazione di storia d’Italia vista dal buco della serratura della scuola: un fuoco d’artificio di notizie e di personaggi che balzano pieni di vita dalla penombra in cui sono rimasti per anni per entrare in modo indelebile nel nostro ricordo. Una galleria di uomini e di donne nei loro aspetti meno conosciuti in rapporto all’evoluzione (evoluzione?) della scuola italiana: un Carlo Magno analfabeta che crea la Scuola di Pavia, che per oltre mille anni sarà l’Università dei lombardi; un Vittorio Emanuele I (quello che abbatteva i ponti eretti da Napoleone), che i libri di scuola ci descrivono come una sorta di cattivone becero e ignorante e che invece ha anticipato la fortuna … della Fiat dando il “via” ad una serie di generazioni di tecnici eccezionali con la promozione dell’Arsenale Militare invidiato in tutta Europa, anche da parte dello stesso Napoleone, che  - detto tra parentesi – riformò la Sorbonne sull’esempio dell’ateneo torinese,  senza trascurare una grandissima Maria Teresa d’Austria e suo figlio Giuseppe, che visita Milano e scopre nel 1796 quello che Charlie Chaplin avrebbe scoperto nel 1936, cioè che la fabbrica tayloriana disumanizza l’operaio.

D’Amico ci presenta un Cavour considerato dai parenti “l’ignorant Camille” solo perché preferiva la matematica al latino, un Gabrio Casati “raccattato all’ultimo momento solo perché ci fosse un lombardo nel governo,  La Marmora dopo la strage di Solferino e San Martino e che scrive la “legge Boncompagni “ facendola passare per sua. Un Sud sfortunato per aver avuto il suo Cavour (il grande Bernardo Tanucci) solo al momento sbagliato. Un Risorgimento sbandierato come “necessità di ricomporre ad unum gli Italiani” perché parlano la stessa lingua, quando in realtà l’Italia del 1860 è un mosaico in cui solo il 2,5 per cento della popolazione parla l’italiano, che  nella maggior parte delle scuole, da Firenze in giù, arriva… come lingua straniera.

Una scuola, quella di D’Amico, fatta non di aride incomprensibili leggi, di circolari sgrammaticate e di altre amenità burocratiche, di riforme fatte e disfatte, come la scuola di cui siamo soliti sentir parlare, ma una scuola di persone vere, uomini e donne, una scuola di fatiche, di lacrime e sangue, una storia che si può riassumere nella triste sorte di quella maestrina del Pistoiese che si uccide perché l’autopsia possa rivelare la sua integrità fisica e morale. O di quel maestro del “Cuore” di De Amicis - ma  caso vero e frequente – che, senza pensione, già a Unità d’Italia inoltrata, è ancora in cattedra a oltre ottant’anni per potersi sfamare.

Una società nella società per la quale, per cortesia, giù il cappello.

 Rita Pizzagalli